La città di Roma è famosa perché se piove più di due ore di seguito si allaga, il traffico va in tilt, i mezzi pubblici non funzionano più e si scatena il caos! L’ultima volta che è pio- vuto forte a Roma sono arrivata in ufficio con i pantaloni fradici, anche se avevo parcheggiato a due metri dall’ufficio. Siccome non avevo altri pantaloni me li sono tirati giù per non bagnare la sedia. Ero da sola e, conoscendo quello che capita in città con la pioggia, ho pensato (male) che sarei rimasta almeno ancora per due ore da sola in ufficio. Era il giorno del mio onomastico e stavo parlando al telefono con mia madre che mi faceva gli auguri e non ho sentito la porta che si apriva: mi sono trovata il collega davanti ed io ero rimasta letteralmente in mutande!
Oggi per esempio ho potuto godere di un’altra situazione di caos nella città eterna: lo sciopero dei trasporti pubblici, che ca- pita almeno una volta al mese. Io prendo quasi sempre la mac- china ma oggi avevo diversi appuntamenti di lavoro e ho deciso di prendere gli autobus. Ho usufruito del trasporto pubblico, sì, ma dei taxi!
Ma meglio se comincio dalla prima mattinata. Mi preparo il contenitore con il pranzo così non spendo, lenticchie avanzate della cena di ieri, busta di plastica per non fare danni e metto tutto dentro la mia super borsa di stoffa fashion. Accompagno mia figlia a scuola, io vestita da figa con super tacco per via dei miei appuntamenti di lavoro. Zaino del nuoto di mia figlia ap- peso al collo (sembravo una mucca da latte col campanaccio), la mia borsa, il lavoretto ingombrante di arte, zaino con i libri e mano di mia figlia. Sono arrivata a scuola che sembravo più “la donna” di Neanderthal che un homo erectus. Prima di prendere
il bus o meglio il no-bus, perché c’era lo sciopero (ma io non lo sapevo), sono andata alla Posta a ritirare una raccomandata che mi era arrivata.
Gli uffici della Posta in Italia sono un capitolo a parte, non c’è giornata che non intervenga la polizia o i carabinieri perché i clienti vogliono menare qualche impiegato e oggi ovviamente non sarebbe fatta eccezione. Sono arrivata venti minuti prima dell’apertura e c’era la fila come in ospedale. Chiedo:
«Chi è l’ultimo per favore?».
«La sottoscritta».
«Grazie».
Aspetto in piedi, aprono con sette minuti di ritardo, ci sono sei sportelli e solo due persone che lavorano, l’apparecchio che da i numeri non funziona. Ci mettiamo in fila indiana, ma della serie “io violento quello che sta davanti e quello dietro violenta me”. Un signore urla:
«Voglio parlare con il direttore!».
E comincia la battaglia campale, discussioni, urla, minacce, si chiama la Polizia, nel frattempo arriva il mio turno, saluto il mio violentatore di dietro e vado allo sportello. Che gioia! Un pacco da Madrid dalla mia migliore amica, Belén. Lo inseri- sco come posso dentro la mia borsa super fashion senza ren- dermi conto che a forza di spingere o capovolto il contenitore con le lenticchie.
Da lì, contenta come Cappuccetto Rosso, me ne vado alla fermata dell’autobus dove un gruppo abbastanza numeroso di persone aspetta, niente di strano, a Roma ci sono sempre file dappertutto e si attende sempre. Passa un autobus “fuo- ri servizio” passa il secondo e passa il terzo “fuori servi- zio”. Non avevo preso ancora il caffè ma mi sono svegliata di colpo quando la signora accanto a me malediceva Roma e i suoi scioperi.
Ops! Sciopero! E maledico anche io e lo faccio in spagnolo 8
ma deve essere linguaggio universale perché tutti accanto a me mi fanno di sì con la testa. Ci uniamo in una imprecazione col- lettiva, il mio spirito di leader è indiscutibile, merda!
Comincio a camminare, con i tacchi, il pacco e le lenticchie. Prendo un tram che passa misteriosamente e mi avvicina alla banca dove ho il primo appuntamento. Al secondo appuntamen- to arrivo a piedi e maledico l’ora in cui ho avuto la brillante idea di indossare i tacchi (belli però).
“Una tuta e delle scarpe da ginnastica, il mio regno per una tuta e delle pantofole!” E… mi illumino! Nella mia borsa fa- shion di Mary Poppins ho le ciabatte perché pensavo di andare a yoga dopo il lavoro. Il mio look diviene improvvisamente da total-geisha, calze marroni, ciabatte verde fluorescente e scarpe in mano perché ormai la borsa era piena, ero Yoko Ono versio- ne Roma e non NY. La gente mi guarda ma io sto comoda e mi dirigo alla prossima destinazione.
Non avevo l’energia per preoccuparmi di quello che pensava la gente, dovevo concentrarmi per prendere le ciabatte con le unghie dei piedi per non farle scivolare via.
Al terzo appuntamento arrivo in taxi, sono esausta e i miei polpacci sembrano quelli di Cristiano Ronaldo, dallo sforzo enorme che ho fatto. Rimango però bloccata da una manife- stazione di studenti nella zona universitaria e, prima di farmi spellare viva dentro al taxi, pago e vado via, sempre con i tacchi in mano e le ciabatte. Mi metto a posto come posso e arrivo al mio ultimo appuntamento della mattina, mi cambio davanti alla signora che mi aspetta e che mi guarda perplessa, mi saluta molto educatamente dicendo:
«Signora c’è qualcosa che goccia dentro alla borsa». «Oh no! Le lenticchie!».